Il lavoro ormai è verde, ma pochi lo sanno

13/11/2014

I dati di GreenItaly 2014 contano 3 milioni di lavoratori green e altri 234.000 entro la fine dell’anno. Il 61% dell’intera nuova occupazione

Fra il lavoro e il Jobs Act c’è la stessa differenza che passa fra la pratica e la teoria. I meccanismi che il Jobs Act metterà in moto dovrebbero stabilizzare l’occupazione, migliorare (migliorare?) le condizioni per chi assume e chi è assunto, ricostruire un nuovo patto fra lavoratori e datori di lavoro. Materia sindacale, insomma. Per carità: necessaria per quanto discussa. Ma il lavoro dov’è?

Per trovare lavoro c’è bisogno di posti di lavoro. Non basta riformare le regole del Monopoli, per esempio, per creare un maggior numero di pedine e giocare con più giocatori. Il lavoro, verrebbe da dire, è da un’altra parte: è in quel 22% di aziende virtuose (341.400 per l’esattezza) che facendo dell’innovazione e della sostenibilità ambientale oggi creano 6 posti di lavoro ogni 10, anzi un po’ di più perché si tratta del 60,7% delle nuove assunzioni non stagionali previste dalle aziende italiane entro la fine dell’anno, che dovranno avere tutte competenze verdi. Dovranno essere green jobs. 234.000 nuovi lavoratori verdi.

Da alcuni anni Unioncamere nazionale insieme alla Fondazione Symbola misurano la green economy italiana e le relative ricadute occupazionali, pubblicando un rapporto il cui titolo è, appunto, un fusione fra le espressioni “green” e “made in Italy”: nasce così Greenitaly, compendio su tutto quello che c’è da spere sul successo verde di chi fa impresa nel nostro Paese. È dal Rapporto 2014, presentato pochi giorni fa e basato su solide rilevazioni statistiche (si tratta del Sistema informativo Excelsior, messo a punto da diversi anni da Unioncamere e Ministero del lavoro), che sappiamo il numero delle imprese verdi e quanta nuova occupazione sviluppano annualmente, con un trend che appare sempre in crescita.

Complessivamente oggi in Italia si calcola che ci siano, assunti e al lavoro, già quasi 3 milioni di green workers il 13,3% dell’intera forza lavoro. Ma non basta. Mentre gli altri lavori perdono terreno e la disoccupazione incalza, i mestieri verdi sono sempre più ricercati e tengono il mercato.

Si tratta di lavori dove lo studio paga. In media, nel nostro mercato del lavoro, solo un lavoratore su dieci deve essere laureato; nei green jobs sono quattro su dieci (nel 2014, i laureati verdi che entro la fine dell’anno troveranno un lavoro sono 22.000), con una tendenza alla crescita. Tra l 2009 e il 2014, infatti, i laureati richiesti dalla green economy era del 32% oggi è del 43,7%, mentre negli altri settori si è passati dal 9,5% all’11,7%.

Si tratta di lavori con migliori condizioni contrattuali. Nel 2014 le imprese prevedono si assumere ben 46 lavoratori verdi su 100 con un contratto a tempo indeterminato, quando negli altri settori si arriva al massimo ad un 37%.

Occorre dire che alcuni settori sono più verdi di altri, o che hanno bisogno di lavoratori con competenze green più di altri.

Nell’industria, per esempio, fra installatori, energy manager, chimici, ecc, il 25,2% sono green jobs (quasi 31.000 su 122.000); così come nel settore edile, dove persino chi si occupa di cemento e nuove malte deve avere competenze verdi, su 10 lavoratori quasi quattro sono “sostenibili”: la richiesta di queste figure è passata dal 28,5% del 2009 al 37,3% del 2014.

D’altronde basterebbe dire che in un mercato come quello edilizio in calo da anni, gli unici settori in crescita sono quelli legati al green building, alla ristrutturazione e all’efficientamento energetico.

Rilevante, aggiunge il rapporto GreenItaly 2014, è anche l’attenzione riservata ai green jobs da parte del manifatturiero, visto che circa un quinto (19,4%, cioè 14.300 su circa 73.800 unità) delle assunzioni previste nel settore per il 2014 fa riferimento a figure professionali verdi.

E i settori manifatturieri a più alta intensità di assunzioni di green jobs nel 2014 sono quello della chimica-farmaceutica (32,1% del totale assunzioni di settore) e i due che costituiscono la filiera della meccatronica (fabbricazione di macchine, attrezzature e mezzi di trasporto con il 32,2%, da un lato, ed elettrotecnica e strumentazione di precisione con il 27,8%, dall’altro).

«Che la cultura green non sia oggi più soltanto patrimonio di un piccola cerchia di illuminati – spiega Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere – ma un orientamento che sta progressivamente conquistando gran parte dei nostri connazionali, è dimostrato dalla disponibilità, che quasi 8 italiani su 10 dichiarano, a preferire prodotti eco-sostenibili all’atto dell’acquisto. Un acquisto peraltro oggi sempre più oculato e attento, visto il permanere di una sostanziale crisi dei consumi. Questa semplice constatazione deve ancora di più valorizzare l’atteggiamento seguito dalle nostre imprese, che si rivelano campioni anche nel fare un diverso tipo di made in Italy, in cui il rispetto della nostra tradizione produttiva si sposa indissolubilmente con la tutela dell’ambiente e si coniuga con una idea di business anche eticamente positiva, oltre che vincente».

«L’Italia deve fare l’Italia» gli fa eco il presidente della Fondazione Symbola, nonché presidente della Commissione ambiente della Camera. «Non usciremo dalla crisi come ci siamo entrati – aggiunge Realacci – non ci metteremo alle spalle questa tempesta perfetta se non cambiando e imboccando con convinzione la via della green economy, che è anche la strada maestra per contrastare i mutamenti climatici. L’Italia deve affrontare i suoi mali antichi, che vanno ben oltre il debito pubblico e che la crisi ha reso ancora più opprimenti: le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia spesso persecutoria e inefficace. Deve rilanciare il mercato interno, stremato dalla mancanza di lavoro, dalle politiche di rigore e dalla paura. E deve saper fare tesoro della crisi per cogliere le sfide, e le opportunità, della nuova economia mondiale. Scommettendo sull’innovazione, la qualità, la bellezza, la green economy, per rinnovare il suo saper fare, la sua vocazione imprenditoriale e artigiana».

Ma la lezione è arrivata anche al Governo? Forse. All’indomani della presentazione dei dati di Greenitaly, intervenendo a Rimini agli stati Generali della green economy, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha ammesso che «le politiche del lavoro possono svolgere un ruolo proattivo nel facilitare la creazione di posti di lavoro di qualità e favorire la diffusione di tecnologie eco-compatibili», anche se «forse, nel tempo, c’è’ stato un equivoco: quello di pensare che il lavoro verde fosse solo un lavoro aggiuntivo. Dobbiamo sapere che c’è una trasformazione nelle dinamiche dell’economia e del mercato».

«Ci sono attività – ha continuato a spiegare il ministro – che cessano con la conseguente perdita di posti di lavoro e per questo stiamo lavorando perché una parte di questi posti di lavoro possa essere recuperata proprio dai lavori verdi. Ecco quindi l’impegno, da parte nostra, molto forte per gestire questa trasformazione, questa transizione del sistema economico e sociale, dove i contenuti ambientali e la sostenibilità sono essenziali».

Per il momento, però, né nel Jobs Act, né nello Sblocca Italia da questa teoria si è passati alla pratica.

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